Tra magazine e cinema: il film capace di sfogliare le pagine

Buongiorno lettori! Una nuova pellicola si insinua tra le mille interessanti proposte che in questi giorni arredano e colorano i nostri cinema. Tra questi ho deciso di puntare, anche per l’ammirazione che possiedo riguardo i film particolareggianti ed unici di Wes Anderson, sul suo nuovo film in questo periodo disponibile nelle sale dei nostri cinema a partire dal 11 novembre.

Il film si intitola “The French Dispatch” – con la regia di Wes Anderson

[Genere Commedia, Drammatico, Sentimentale e Animazione, ambientazione: Francia, Luogo di produzione: Stati Uniti e Germania, durata 108 minuti]

TRAMA

Arthur Howitzer Jr, il direttore del giornale The French Dispatch, muore improvvisamente a causa di un attacco di cuore. Per volontà testamentaria dello stesso direttore, la pubblicazione del giornale viene fin da subito posta in fase di ultima pubblicazione di cui si avrà l’opportunità di redigere la sua stesura per l’ultima volta. L’ultima uscita si strutturerà di tre articoli estratti dalle passate edizioni del giornale con l’aggiunta di un inserto dedicato con affettuosa attenzione al necrologio.

Quando si parla dei film di Wes Anderson quasi non si può immaginare cosa egli sia capace di mostrarci nel momento in cui il grande schermo si presenta ai nostri occhi, ma si è comunque certi che la sua arte cinematografica sarà in ogni caso capace di regalare un mondo fortemente umano, a volte crudo nella sua spietata dolcezza ed un profondo estetismo sulla bellezza del cinema vintage e dai colori così vivaci e strazianti.

La potenza di The French Dispatch è prima di tutto il perfetto equilibrio delle inquadrature, la simbiosi tra il personaggio e i colori, gli improvvisi cambi di dimensione delle sceneggiature e del loro assetto teatrale. Le inquadrature, l’attenzione rivolta allo sguardo dei personaggi, l’interiorità confusionaria e ribelle, spesso incompresa, a volte insensibile ed in altri casi anche dolorante. La forma dei luoghi e le ambientazioni si dimostrano ancora la prigione del cuore e dei ricordi. Ed infine i colori, l’anima dei personaggi, viva nelle emozioni inesprimibili e risuonante attraverso il cinema, l’arte della Bellezza e l’andersoniano color pastello.

La caparbietà di questo meraviglioso film, la forza di riuscire a cogliere dalle labbra dei propri “audaci” spettatori quella risata amara, malinconica ma lieta, a volte persino liberatoria, ripercorre le orme di quella potenza interiore che osservando il film ci pervade fino a farci spesso perdere la concezione del mondo circostante e per poi terminare e ricordarci che all’orizzonte conclusivo di quel mondo, non altro che un sogno ribelle e fugace, esso non potrà mai appartenerci quanto la realtà.

Il film tratta la parte più “tragica” ma riflessiva, profonda, intima e quasi ironicamente superba del magazine The French Dispatch il quale, a seguito della morte del suo direttore, si ritrova ad affrontare la sua ultima pubblicazione. Il film è dunque il necrologio del magazine e quanto a quest’ultimo si mostra capace di essere l’incarnazione dell’addio, della morte del suo direttore, dei suoi inserzionisti e delle loro storie, di uomini, di donne, di ragazzi e di ragazze, di storie e di rivoluzioni, di crescite e di conflitti, dell’amore e del silenzio.

Le colonne sonore sono musiche che spesso vengono sopraffatte dal rumore assordante di una sparatoria, di piatti che cadono, di urla, di risate ed il tutto affiancato da una velocità con cui ogni cosa riesce a realizzarsi, in una corsa contro il tempo e rispetto a cui, se si scegliere di voler prendere coscienza delle storie e dei mondi che scorrono davanti agli occhi, il tempo per pensare resta pur sempre limitato al confine del possibile, proprio come la realtà che scioglie ogni attimo sfuggente e ci corre dietro per poi lasciarci, a sua scelta, con la bocca asciutta.

La metamorfosi della vita, la vita che si disperde nell’ambiente che circonda lo spettatore, l’immersione totale nelle braccia dell’assurda e inarrestabile bellezza che ogni scena dalla nostra mente vuole catturare e incapsulare nei propri ricordi, lascia scorrere il tempo senza coscienza, come nella vita i suoni sopravvengono, la musica cessa o il colpo di scena si balena davanti ai nostri occhi. L’inaspettato ricordo, ormai solo ricordo, di un mondo che è memoria anch’essa dei personaggi, sceglie di gridarci sul guardare avanti, sul riflettere, sul renderci coscienziosi di una vita che non ha lancette. Il magazine come un orologio, come la vita del suo direttore, giunge al termine: nessuna sveglia ha avvertito della fine, ma una lacrima nell’ufficio in cui “non si può piangere” è caduta ed è così che una ribellione nell’atto finale prende il suo spazio lasciando con sé un mondo in cui il futuro non ha una fine ma in cui piuttosto ha trovato il suo inizio.

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